Minaccia a docente: quando è (e quando non è) resistenza a pubblico ufficiale
La Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con sentenza n. 32839 dell’11/09/2025, ha precisato i confini del reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) riferito a un episodio avvenuto a scuola. Un alunno, durante l’ora di educazione fisica, aveva rivolto frasi minacciose al docente, collegandole alla precedente sospensione disciplinare di 25 giorni: “Appena finisce la scuola vengo a trovarti, non è una minaccia ma un avvertimento, per me le regole non valgono, tu mi hai fatto sospendere per 25 giorni”.
La Corte d’Appello aveva qualificato la condotta come resistenza a pubblico ufficiale, riconoscendo nel docente tale qualifica.
La Cassazione ha, invece, accolto il ricorso della difesa: per integrare l’art. 337 c.p. è necessario il dolo specifico, cioè la finalità di impedire o ostacolare un atto d’ufficio in corso. Nel caso concreto, la minaccia era riferita a un provvedimento già concluso; manca dunque il nesso tra condotta e attività istituzionale in atto. Come ribadito dalla giurisprudenza, la minaccia verso un pubblico ufficiale non integra automaticamente la resistenza se non è diretta a bloccare l’esercizio della funzione.
La Cassazione ha quindi escluso la configurabilità della resistenza e rinviato per valutare se possano invece ricorrere altri reati, come minaccia (art. 612 c.p., con possibile aggravante ex art. 61 n.10 c.p.) o oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.).
La decisione richiama l’importanza, anche in ambito scolastico, di distinguere tra contestazioni, pur gravi, e condotte che mirano concretamente a impedire l’azione del docente, ribadendo al contempo il valore della funzione educativa e del rispetto dovuto al personale scolastico.


