Docenti a mensa: sì al pasto gratuito, no al diritto al pasto completo

Con l’ordinanza n. 19895/2025 la Cassazione chiude la disputa sulla mensa scolastica dei docenti in servizio durante la refezione: il diritto è alla mensa gratuita, non al “pasto completo” con menu prestabilito. La prestazione, ribadiscono i giudici, ha natura assistenziale e non retributiva: serve a garantire benessere e continuità del servizio educativo, non a corrispondere un controvalore economico al lavoro svolto.

Il caso nasce da una richiesta di un docente di riconoscimento del “pasto completo” (primo, secondo, contorno, frutta e pane). In primo grado il Tribunale lo ha accolto, ma la Cassazione lo ha ridimensionato: mensa sì, ma senza diritto automatico al secondo piatto. La Cassazione ha dichiarato i motivi di ricorso inammissibili, chiarendo tre punti:

  1. le Linee guida nazionali sulla ristorazione scolastica (Conferenza unificata 2010) sono atti di indirizzo privi di forza cogente;
  2. l’adeguatezza del servizio non si misura su un menu standardizzato, ma sull’idoneità a tutelare il benessere psico-fisico;
  3. spetta ai lavoratori l’onere di provare l’inadeguatezza del servizio, non bastando la mancanza di una portata.

Il riferimento normativo resta l’art. 21 del CCNL Scuola 29.11.2007, che garantisce la mensa gratuita a docenti e ATA impegnati nella refezione, senza predeterminare contenuti quantitativi o qualitativi del pasto. Pertanto, le scuole devono assicurare la fruizione del servizio gratuito nei termini contrattuali, mentre per eventuali rivendicazioni qualitative vige l’onere della prova: se i lavoratori rivendicano un “pasto più completo”, devono provare l’inadeguatezza del servizio rispetto alla sua funzione di tutela del benessere, non basta lamentare l’assenza di una portata. 

I Comuni, responsabili dell’organizzazione della refezione, restano liberi di modulare il menu secondo sostenibilità e risorse, senza obbligo di “seconda portata” salvo diversa disciplina in contrattazione integrativa.

Gli Associati possono consultare l’ordinanza Corte Cassazione n.19895/2025, Sez. Lavoro.

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