“La Ricreazione è finita” Dario Ferrari – Sellerio Editore
Recensione di
Alessandro Quarta
Se “La ricreazione è finita” di Dario Ferrari non è il miglior libro letto quest’anno, certamente è quello più interessante di questo 2024. Sono stati tanti i romanzi che ho letto in questi mesi, ma mai come con questo mi sono avvicinato con così tanto interesse e con così tanta reverenza.
Consigliato da un’amica per via, probabilmente, del mio percorso di studi e della mia passione per la storia contemporanea degli anni ‘60 e ‘70, mi sono immerso nella lettura di questo romanzo immergendomi tra le atmosfere universitarie, la goliardia viareggina e quell’Italia che, negli anni a cavallo tra il 1968 e il 1980, ha vissuto la sua stagione politica e sociale più difficile e drammatica.
Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia.
Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere e,imprevedibilmente, vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le “Agiografie infami”, e dove si dice abbia scritto “La Fantasima”, la presunta autobiografia mai ritrovata.
Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione.
Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l’università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell’università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine. Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese.
La biografia di Sella, infatti, ricostruita sulla base delle fonti disponibili, presenta alcune lacune e incongruenze; Marcello si butta a capofitto in questa ricerca, come se trovare il bandolo dell’intrico delle vicende di Sella e della sua banda rivoluzionaria Ravachol, potesse compensare l’assoluta indifferenza con la quale guarda il proprio intrico interiore.
È qui che irrompe il secondo livello, o romanzo, di cui Tito Sella diventa il nuovo protagonista e ci ritroviamo nella Viareggio degli anni Settanta, al bar Crispi, dove quattro giovani, tra cui Tito, giocando a carte, dopo aver amaramente constatato che “Il Sessantotto è finito”, decidono per la lotta armata, l’azione violenta, la latitanza.
Si assiste dunque alla formazione del gruppo, alla definizione dei mezzi, dei fini, alla scelta dei membri e all’individuazione degli obiettivi. La narrazione non perde qui la sua cifra di leggerezza: Ravachol è un gruppo che impara il mestiere facendolo, e i membri da semplici ragazzi di periferia scolpiscono la loro nuova identità politica azione dopo azione, fallimenti, fughe rocambolesche, equivoci; ma rispetto agli anni dieci del 2000 di Marcello, la Storia dirompe, la materia degli eventi si fa tragica, le decisioni sono irreversibili, i destini si compiono inesorabili.
Marcello scrive così la sua Fantasima, traccia un percorso nella vita di Tito che culmina con il suo gesto più reale, effettivo: l’azione violenta, rischiarando così tutti gli eventi precedenti e mostrando una parabola di senso che non poteva che sfociare nel suo esito: quell’istante in cui un barlume di coscienza si accompagna all’azione e dice “Io sono questo”. Tito è identificato totalmente con quella decisione, e in quell’istante diventa se stesso.
Perché, come scriveva Jorge Luis Borges, “Qualunque destino, per lungo o complicato che sia, consta in realtà d’un solo momento, […] quello in cui l’uomo sa sempre chi è”.
La ricreazione è finita è un’opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario – imperniato dentro l’artificioso e ossimorico mondo dell’accademia -, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l’autore cede la parola all’autobiografia del suo personaggio.
Alessandro Quarta |Direttore della Direzione Appalti, Edilizia e Patrimonio UniBa |Esperto formatore nel settore degli Appalti Pubblici di lavori, forniture e servizi |