Lo straining, e non solo il mobbing, deve essere risarcito
Un lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione contro la decisione della Corte d’appello, che pur avendo accertato la condotta vessatoria del diretto superiore ne aveva negato l’illiceità. La CdA ha dichiarato che si trattava di un episodio isolato che esulava dalla sistematicità di una condotta persecutoria o discriminatoria reiterata e protratta nel tempo.
Il lavoratore, proponendo ricorso, ha affermato che anche lo straining può comportare violazione dei diritti del lavoratore, eventualmente attraverso condotte uniche o prive di reiterazione.
La Sezione Lavoro della Cassazione Civile, con Sentenza n. 29101 del 19 ottobre 2023, ha accolto il ricorso, ritenendo che “al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica)”.
È comunque noto l’orientamento costante della Cassazione secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all’art. 2087 c.c. (Sent. n. 18164/2018; n. 3977/2018; n. 7844/2018; n.12164/2018; n.12437/2018; n. 4222/2016). Qualora venga accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta (Cass. 29.03. 2018 n. 7844; Cass. 10.07.2018 n. 18164; Cass. 23.05.2022 n. 16580; Cass. 11.11.2022 n. 33428).
La Cassazione ha assegnato valore dirimente al rilievo “dell’ambiente lavorativo stressogeno” quale fatto ingiusto ed illecito, che deve essere però sempre valutato al fine del risarcimento del danno, anche in assenza di reiterazione.
Gli Associati possono leggere la Sentenza Cassazione Civile, Sez. Lav. n. 29101/2023.