Ritardo nel recepimento della normativa UE sul whistleblowing

L’istituto del whistleblowing, ossia il fenomeno delle segnalazioni di illeciti all’interno di un’organizzazione pubblica e/o anche di una realtà aziendale privata, è stato introdotto in Italia inizialmente nel settore pubblico, con la Legge n. 190/2012. Con la Legge n. 179/2017 si è realizzata una disciplina più organica in materia di whistleblowing, come strumento di contrasto alla corruzione.

La Direttiva Ue 2019/1937 ha disposto che i segnalanti vengano tutelati se, al momento della segnalazione, abbiano avuto fondati motivi di ritenere vere le informazioni divulgate: 

  1. sia che si tratti di illeciti, 
  2. sia che si tratti di atti e omissioni tesi a eludere e/o violare le norme, 
  3. sia che si tratti di tentativi di occultamento di condotte irregolari e/o illegali.

La normativa europea ha contestualmente disciplinato il contenuto della tutela per i segnalanti. In particolare, oltre a prevedere il divieto di atti di ritorsione e/o di discriminatorie sul luogo di lavoro, mediante, ad esempio, sanzioni disciplinari, licenziamento, demansionamento, trasferimento o mancata conversione del contratto a termine, vengono istituite altre misure di sostegno, quali 

  • l’accesso a informazioni e consulenze, 
  • assistenza da parte delle autorità, 
  • il patrocinio a spese dello Stato, 
  • il divieto di ritorsione anche in relazione ad aspetti quali i danni reputazionali del segnalante.

Lo scorso 17 dicembre è scaduto, per l’Italia, il termine per l’emanazione della normativa nazionale di recepimento della Direttiva UE 2019/1937 relativa al whistleblowing, nonostante la legge delega n. 53/2021, che avrebbe dovuto recepire la direttiva entro agosto 2021.

Il ritardo del legislatore italiano, oltre a esporre il nostro Paese al rischio di essere sanzionato dall’UE, contribuisce a far rimanere l’Italia un passo indietro nella cultura della legalità.

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