Per accogliere nel modo giusto chi legge questo breve intervento, mi tocca raccontare sommariamente un episodio significativo. Siamo nel mese di agosto del 2007 e faccio ingresso nella mia prima scuola di titolarità come dirigente scolastico. Il preside uscente mi attende in corridoio per questo che non è che un incontro informale. Dietro di lui, la sua collaboratrice e un uomo di una sessantina d’anni dalla folta chioma bianca. Stiamo per entrare in presidenza quando il collega chiude la porta lasciando fuori l’uomo che ci aveva seguiti fin lì. 

Quando ci sediamo, per dissipare le mie incertezze, il pensionando mi dice: “Loro lasciamoli fuori, è meglio…” 

Chiedo a chi si riferisca. La sua risposta è “i DSGA”. 

Coi saggi di Susanna Granello avevo imparato che “il dsga è l’altra metà del cielo”. Adesso questa metà si trova al di là della porta per volere feudale di un preside col quale parlerò per pochi, lunghissimi, minuti. Meglio trattenersi, e sotto gli occhi del collega uscente, sulle scale, con l’escluso che mi aspettava pazientemente fuori e che, a dispetto della sua età, tutti chiamano Marcellino. Il tempo e l’attenzione dedicati saranno proporzionali al rispetto dovuto e il Dsga Marcellino comprenderà, sorridendo, che i tempi sono cambiati. 

Io credo che il buon funzionamento di una scuola dipenda, in gran parte, dalla correttezza dei rapporti tra le due figure istituzionali. 

Primo aspetto: la condivisione di un lavoro difficile. In base alla mia esperienza so che ad un bravo Dsga bastano pochi secondi per comprendere il livello di consapevolezza che il dirigente ha del mestiere del direttore dei servizi. Il Dsga sa quasi subito cosa lo attende. Una cattiva conoscenza del regolamento di contabilità, per esempio, porterà il dirigente a fare proposte impraticabili e il DSGA a risultare oppositivo, ai suoi occhi e a quelli dei docenti, per il solo fatto di esigere il rispetto della normativa. Nel corso della mia carriera, particolari vicissitudini mi hanno costretto ad approfondire la conoscenza delle funzioni del direttore amministrativo e, talvolta, mi hanno visto sostituirlo in queste. Ho compreso che si tratta di un universo di azioni complesse che spesso non si percepiscono dall’altro punto di vista. E ciò porta ad una necessaria scelta strategica: condividere le scelte che dispiegano effetti sul lavoro del DSGA (che dobbiamo comunque conoscere) significa escludere la possibilità che questi possa percepirsi come mero esecutore materiale. 

Secondo aspetto: il versante comunicativo. Spesso mi capita di dire ai miei insegnanti che il pessimo dirigente è quello che ha dimenticato d’essere stato docente. Non bisogna dimenticare, soprattutto, la particolare chiave di lettura di chi svolge una professione di natura, credo io, pseudo artistica. Questo serve, innanzitutto, a comprendere e condividere le scelte dei docenti, ma, soprattutto, facendo uso il dirigente della sua doppia natura di ex docente/quasi amministrativo, a tradurre e mediare biunivocamente nella comunicazione col personale ATA. Il tutto, finalizzato a scongiurare quella ricorsività patologica per cui i docenti e gli amministrativi lamentano vicendevolmente la scarsa disponibilità a comprendere della controparte. 

Voglio chiudere questo breve intervento come ho iniziato: con Marcellino, in pensione da dieci anni, che ogni due di gennaio viene a trovarmi col calendario della squadra per la quale nutriamo una grande passione. Parliamo un pò. Facciamo una foto. E sappiamo entrambi che questo non è un gesto di sottomissione feudale ma il regalo di un compagno di strada.

Fabio Passiglia

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